Essere un passistone non è proprio un complimento, quantomeno nel mondo del ciclismo professionistico: nel senso che il passistone è la prima linea d’attacco (o di difesa) nelle grandi corse, destinato a scomparire quando il traguardo è imminente oppure quando la strada comincia a salire.
Si potrebbe dire, sbagliando, che svolge il ruolo del comprimario o, come si diceva una volta, del porta-borracce.
Ciò nonostante il passistone si rivaluta quando si diventa cicloturisti: quando s’entra in quella fase in cui è certamente necessario pedalare ma è altrettanto importante soffermarsi a osservare ciò che sta intorno e apprezzare le sensazioni che solo la bicicletta è in grado di offrire. Quel momento in cui si gode dell’istante in cui la fatica permette di scoprire cose mai viste.
L’ambiente ideale del passistone è perciò la pianura sconfinata, il luogo in cui i campanili riprendono il ruolo che è sempre spettato loro: punti di riferimento cardinali per chi si trova a percorrere quella piattezza. Tuttavia se si dovesse per forza scegliere il luogo d’Italia da nominare “Paradiso del Passistone” il compito sarebbe semplice : il Parco del Delta del Po, un ambiente meraviglioso in cui la terra si mescola sempre di più all’acqua, sino al fatidico momento in cui scompare definitivamente davanti al mare.
Quelle terre che, in Veneto, vanno da Papozze sino alla Sacca degli Scardovari e, in Emilia, da Argenta sino alle Valli di Comacchio.
Sono territori tutelati dall’Unesco in cui è ancora possibile avere il privilegio d’attraversare spazi che conservano un’aura d’inesplorato: in cui si ha la sensazione di essere i primi visitatori. Però, non importa come si è raggiunto il Delta, basta un’occhiata al paesaggio circostante per comprendere come il mezzo di trasporto ideale sia la bicicletta: anzi si potrebbe sostenere che nessun altro luogo come il Delta del Po sia stato creato apposta per la bicicletta e, ovviamente, per il passistone, che qui assurge al ruolo del cicloturista perfetto. Di colui che è in perfetta sintonia con ciò che gli sta intorno.
Qui ci sono asfalto liscio e strade arginali che dominano tutto, che danno il senso d’essere sopra al mondo senza dover per forza ascendere il Colle dell’Iseran o lo Stelvio, e, contemporaneamente, c’è la possibilità d’inoltrarsi in ciò che è l’ultimo orizzonte di libertà del ciclista perfetto: percorrere lunghissimi tratti di sterrato tra i lecci, in cui si sente solo il frusciare dell’erba, il vento e il rumore che più rassicura l’uomo che pedala.
Il sottilissimo crepitare della meccanica della bicicletta perfetta.