Omar Di Felice e il sogno chiamato Everest

    L’Everest è un sogno enorme. Omar Di Felice lo ha rincorso a lungo, rappresentando tutti coloro che hanno immaginato di raggiungerlo chissà come in bicicletta. Non si può provare che un’immensa emozione pensando a Omar Di Felice che giunge al primo campo base per l’ascesa all’Everest a 5364 metri sul livello del mare. Tutto questo al culmine della sua impresa invernale in Nepal, pedalata (e camminata) per 1.294 km. Oltre il campo base, tutto diventa alpinismo e non ha più nulla a che fare con ciò che lassù si può ancora, in qualche modo, chiamare ciclismo.

    Infatti da Lukla è stato più Omar a trasportare la propria Wilier Triestina che il contrario. Una sorta di sincero omaggio a tutto ciò che la bicicletta ha rappresentato nella sua vita. Tuttavia anche questo è ultracycling – se lo si vuol intendere come rapporto intimo e simbiotico con la propria bicicletta – inaspettatamente trasportato così vicino alla temibile parete grigio scuro della montagna più alta che ci sia al mondo.

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    Il sogno chiamato Everest è stato il culmine d’un viaggio incredibile, lungo tre settimane, ai piedi di montagne leggendarie come l’Annapurna e il Manaslu. Proprio all’interno dell’Annapurna Conservation Area, Omar Di Felice ha compiuto un’altra impresa ancor più straordinaria: il transito invernale da ovest a est sul Thorang La Pass, spesso con la bicicletta in spalla per le difficilissime condizioni di percorribilità del sentiero. Ciò che lascia attoniti è che il passo è a 5416 metri, ancora più in alto rispetto al campo base dell’Everest. Non è dato sapere, a causa dell’incertezza delle misurazioni, se questo sia davvero il passo transitabile più alto al mondo, ma è sicuro che mai una Wilier Triestina è stata così vicina al cielo.

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    Sono comunque transiti da fantascienza che fanno sembrare persino abbordabile il passaggio sul Kora La Pass, in Nepal, ma a due passi dal Tibet, a 4660 metri di altitudine.

    Alla fine sono state tre settimane in bicicletta in condizioni estreme, prima a ovest e poi a est di Kathmandu, con escursioni termiche terribili, scalando più di trentacinquemila metri di dislivello. Omar ha trascorso notti interminabili in villaggi nepalesi con temperature che oscillavano tra i -10 e i -20 gradi Celsius, dando così un’immagine precisa a luoghi sperduti i cui nomi erano solo punti isolati su una carta geografica. A Muktinath, a Manang, a Dingboche la sua bicicletta è stata la principale attrazione del paese ed è diventata un mezzo per comunicare con la gente del posto. Adulti o bambini senza distinzione. Così sotto all’Annapurna e all’Everest la parola bicicletta è diventata un modo per incontrarsi e trasportare storie da una parte all’altra del mondo, soddisfacendo un’altra grande intenzione di Omar.

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    Già l’inverno scorso raccontando della sua traversata in bicicletta del Deserto del Gobi, da Ulan Bator ad Altai e ritorno, si era citato come fonte d’ispirazione Jules Verne. Oggi, al termine di questa avventura invernale-himalayana, non si può che ricordarlo nuovamente, per l’incredibile capacità con cui Omar Di Felice ha realizzato il suo sogno: guardare negli occhi l’Everest con al fianco la sua bicicletta.
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