Riders on the storm

    “Riders on The Storm” è una canzone dei Doors. Il rumore della pioggia e del vento continua in sottofondo per tutta la durata del brano, così come talvolta avviene nelle tappe dei grandi giri o nelle classiche più o meno importanti. Allora, come nella canzone, tutta la corsa è pervasa da un temibile avversario in più, il maltempo, che rende la strada ancor più difficoltosa.

    Spesso è capitato che una gara ciclistica si sia trasformata in un’avventura estrema. La prima volta potrebbe essere accaduta il 3 aprile 1910, quando a causa della neve e del freddo polare solo quattro corridori su sessantatré partenti portarono a termine quell’edizione della Milano – Sanremo.

    Tutte le storie dell’epoca pre-televisiva appartengono alla leggenda e vengono tramandate oralmente di generazione in generazione, consegnando all’immaginazione le smorfie di sofferenza degli uomini in bicicletta.
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    Così si racconta della pioggia torrenziale durante la Briancon – Aix Les Bains che decise il Tour de France 1958 o della Belluno – Moena, del Giro d’Italia 1962, interrotta sul Passo Rolle perché il gelo e la neve rendevano troppo pericolosa la prosecuzione della tappa.


    Poi la televisione ha fatto in modo che tutti, davanti allo schermo, potessero vedere gli effetti della difficile strada del ciclismo. Solo recentemente, però, le tecniche e le apparecchiature di ripresa hanno consentito di osservare più da vicino – quasi spietatamente – il travaglio dei ciclisti in balia delle avverse condizioni atmosferiche.

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    È impressionante osservare i volti dei corridori che cercano finalmente di uscire dalle folate di vento laterale e pioggia scrosciante, anche se sanno perfettamente che le previsioni del tempo hanno annunciato bruttissimo tempo per tutta la durata della corsa.

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    È altrettanto sconvolgente vedere scatenarsi la lotta cercando di sfruttare al massimo le occasioni che il maltempo fornisce.

    Allora i volti dei corridori uniscono alla sofferenza l’agonismo e se ne infischiano della tribolazione degli avversari che sono rimasti incastrati in un ventaglio più arretrato e che cercano, aggrappati coi denti al manubrio, di recuperare il distacco combattendo contro il vento contrario.

    Perché, lo sanno tutti, basta la distrazione d’un attimo, magari per non rischiare una caduta in discesa con la strada bagnata, e si rimane attardati, senza più speranza di ricongiungersi al gruppo dei migliori.

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    Così può accadere che dopo aver lottato per diverse decine di chilometri col maltempo, il primo che emerge in fondo al rettilineo d’arrivo, una volta sotto lo striscione del traguardo, non abbia neppure la forza di alzare le braccia al cielo o di sorridere per festeggiare una vittoria in una classica-monumento o in una frazione d’un’ importante corsa a tappe.

    Allora, quando un’inquadratura da vicino immortala il volto d’un corridore solcato da smorfie di sofferenza e dolore, non si può far altro che provare un’ammirazione sconfinata per chi percorre ogni giorno la difficile strada del ciclismo.

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