“Dal Botswana fino a Mombasa siamo stati in ostaggio della stagione delle piogge, di fondi stradali difficili, ma soprattutto d’un vento contrario spietato che ci ha portato al limite della sopportazione. Certo, ce lo aspettavamo, ma un conto è attenderselo e un conto è ritrovarsi in Kenya con la pelle ustionata, soprattutto a causa del vento, ma anche a causa del sole che appena riappariva non lasciava scampo”.
Ciò nonostante, al confine tra Botswana, Zimbabwe e Zambia, Caroline e David hanno raggiunto uno dei luoghi leggendari per ogni suddito inglese che si rispetti: la città di Livingstone, appena all’interno della linea di demarcazione dello Zambia, dove si aprono in tutta la loro indescrivibile bellezza le Cascate Vittoria.
Le nuvole basse della seconda parte del viaggio hanno invece impedito a David di osservare da vicino un altro luogo mitico dell’Africa Nera: il Kilimangiaro.
Il percorso pareva perfetto per coglierne le nevi eterne stagliate a quasi seimila metri d’altezza. La lunga salita del vicinissimo Mount Meru avrebbe dovuto offrire diversi belvedere sulla più alta montagna africana, così tante volte raccontata dai viaggiatori, ma il cielo non s’è mai aperto e ha lasciato intatto il desiderio di osservarlo. È nata così la vicendevole promessa di ritornare là, sul confine tra Tanzania e Kenya per tentare di riavvicinare – “vista la qualità delle strade, meglio con una mountain bike che con una bicicletta gravel” – la montagna di Hemingway.
“L’Africa è cambiare ogni giorno orizzonte e, magari, anche due volte in un giorno. Si passa in poche ore dalla savana piena di elefanti, giraffe e antilopi a paesaggi che ricordano il Massiccio Centrale in Francia. È un continuo cambiamento di luoghi, di condizioni ambientali e perciò anche di emozioni. Si passa da gioie incontenibili a grandi struggimenti, ma una cosa a Mombasa è parsa chiara a David e a me. In Africa bisogna tornare al più presto”.