Tutti attendevano spasmodicamente il Col de La Loze.
D’altro canto non ci si poteva aspettare nulla di meno da un Memorial Henry Desgranges – 2304 metri d’altitudine, la vetta più alta del Tour de France edizione 2020 – percorso per la prima volta dalla Grand Boucle. Nulla di meno d’un combattimento in bicicletta che stabilisse una volta per tutte i valori in campo.
A due chilometri e mezzo dall’arrivo Miguel Angel Lopez è scattato, infilandosi tra Primoz Roglic e Tadej Pogacar che si son guardati un attimo negli occhi per capire chi dei due dovesse inseguire la maglia blu chiaro che si allontanava rapidamente. Quando Roglic ha deciso, però, è stato troppo tardi. Si potrebbe perciò dire che si è trattato d’un semplice attimo, del tempo d’un’occhiata, perché Michelangelo se ne andasse a dipingere da solo una strada che il Tour de France non aveva mai percorso.
Sono indescrivibili le emozioni che un corridore prova quando porta un attacco per cercare di vincere la tappa fondamentale della corsa più importante del mondo. Sono indescrivibili perché l’adrenalina scaturita dalla ricerca dell’impresa si mescola col terribile timore che il tentativo si riveli vano e che la delusione si manifesti a pochi metri dal traguardo, senza che ci sia alcuna possibilità di reazione perché la salita durissima ha prosciugato ogni stilla d’energia. Questo deve aver provato Miguel Angel Lopez mentre affrontava l’ultima rampa al 16, che diventava 17 e poi 18% del Col de La Loze.
Deve esser stata terribile la paura di non farcela anche se il traguardo era a portata di mano, anche se a pochi metri dallo striscione c’era un tifoso infagottato nel drappo giallo, blu e rosso della Colombia che, da dietro le transenne, gridava come un invasato: “Ganaste, ganaste!”.