Dei corridori raccontano che nei momenti più concitati d’una corsa si sono scoperti a confidarsi con la propria bicicletta, sia che fossero gregari oppure campioni come Michele Scarponi. Le confidenze erano sempre le stesse: chiederle il favore di non mollare adesso che l’impresa era così vicina.
A Scarponi deve essere accaduto mentre saliva sul Nevegal il 24 maggio del 2011.
Era una cronoscalata di tredici chilometri che valeva il secondo posto nella classifica generale del novantaquattresimo Giro d’Italia. Contador stava ormai su un altro pianeta e non c’erano dubbi che, cinque giorni dopo, sarebbe stato maglia rosa a Milano. Tuttavia la gloria risiede anche nell’essere il più vicino possibile a un campione in stato di inarrivabile grazia.
Per esserlo Scarponi non doveva perdere più di 51 secondi da Vincenzo Nibali, ma la debacle attendeva lì accanto perché si saliva in completa solitudine e senza alcun punto di riferimento.
Perciò Michele tra il secondo e il quinto tornante della strada provinciale – il tratto più duro della salita – prese a parlare con la canna della sua Cento1SLR e a chiederle una mano per mantenere il secondo posto in classifica generale. Aveva così tanto faticato in quel Giro d’Italia che non gli pareva giusto che quegli sforzi fossero vanificati in soli tredici chilometri di salita.
Lo stesso era capitato ad un suo compagno di squadra un anno dopo, l’11 maggio del 2012, sulla strada per Porto Sant’Elpidio.
Miguel Angel Rubiano se n’era andato sulla salita di Montegranaro e ormai aveva vinto la tappa. I quattro che inseguivano avrebbero potuto tirare i remi in barca, invece il distacco del plotone era tale che, per pochi secondi, due del gruppetto – Adriano Malori e Michel Golas – stavano giocandosi la maglia rosa. Malori aveva tre secondi di vantaggio sull’avversario, ma se Golas l’avesse battuto nella volata per il secondo posto l’abbuono avrebbe consentito il sorpasso. Perciò all’ultimo chilometro tutti e due presero a parlare con la propria bicicletta, così che non li abbandonasse durante lo sprint più importante della carriera.
Sul Nevegal la bicicletta ascoltò Michele Scarponi: insieme riuscirono a resistere a Nibali e a farsi staccare di soli 4 secondi, mantenendo inalterato il distacco in graduatoria.
I 47 secondi di vantaggio rimasero incorrotti a Tirano, a Macugnaga e sul Sestriere, così a Milano Scarponi riuscì davvero a essere l’uomo più vicino in classifica ad Alberto Contador.
Al contrario, a Porto Sant’Elpidio, una sola delle due biciclette assecondò i desideri del proprio corridore. Fu la Wilier Triestina di Malori che rispose rapidissima al suo “Dai, andiamo!” e insieme vinsero lo sprint per il secondo posto.
Accadde così che Michele Scarponi, in Piazza Duomo, salutò sorridente il pubblico dal secondo gradino del podio del Giro d’Italia, mentre a Porto Sant’Elpidio Adriano Malori s’affacciò felice dal palco delle premiazioni con indosso la maglia rosa.
A Milano però nessuno ancora immaginava che sarebbe stato Michele Scarponi a indossare la maglia rosa finale grazie a quei benedetti 47 secondi.
Tutto ciò grazie a un’intimissima chiacchierata tra un uomo e una bicicletta lungo i tornanti della Strada Provinciale 31 che porta al Nevegal.
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